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giovedì 21 aprile 2011

E adesso picchiaci tutti


di Emanuele Toscano [20 apr 2011]

Una storia orribile. Non c’è altro aggettivo per descrivere quello che è accaduto a Sara, giovane commessa romana di un negozio di intimo nel centro commerciale Porta di Roma della capitale.

Ricevuta la sua busta paga, si accorge della mancata retribuzione delle cinquanta ore di straordinario maturate. La titolare del negozio prima si rifiuta di corrisponderle il dovuto, e successivamente cerca di costringere Sara a firmare la lettera di dimissioni. Di fronte ad un rifiuto, la titolare – Vera Emilio – perde la testa e la picchia selvaggiamente dopo averla trascinata nel magazzino, di fronte agli occhi attoniti delle altre commesse. Percosse guaribili in quindici giorni secondo il referto dell’INAIL, come anche dimostrato dal servizio de Le Iene, che ha sollevato il caso a livello mediatico.

Facebook – che conferma le sue potenzialità come piattaforma capace di generare partecipazione – ha fatto il resto, permettendo a centinaia di persone di mobilitarsi e ritrovarsi sabato scorso di fronte all’entrata del negozio di Tezenis nel centro commerciale, per esprimere solidarietà nei confronti di Sara e sdegno per questo episodio di prevaricazione sul lavoro così odioso e insopportabile. Episodio aggravato dalle frasi che la “padrona” avrebbe pronunciato mentre picchiava Sara quando questa la supplicava di smettere: «Non mi fanno pena neanche i cani, io mi inchino solo al Duce».

Il risultato ottenuto è stato la chiusura, per quel pomeriggio, del negozio e – ma non ci sono notizie certe a riguardo – la sospensione del contratto di franchising nei confronti della manesca “padrona” filonazista con tanto di svastica pubblicata sul suo profilo Facebook.

Un paese in cui sia possibile che accadano fatti come questi, dopo decenni di lotte sindacali per il riconoscimento dei diritti sanciti dallo Statuto dei Lavoratori, e dopo quarant’anni dalla sua emanazione, è un paese allo sbando.

C’è l’Italia del lavoro garantito, del cartellino ministeriale, delle baby pensioni, e c’è l’Italia del lavoro parasubordinato, precario, esposto al ricatto del licenziamento, o delle partite IVA, che vive condizioni lavorative indegne per un paese europeo a “capitalismo avanzato” o a “democrazia matura”. C’è una generazione, quella dei “perennemente giovani”, che spesso coincide con questa parte di paese ai margini in termini di rappresentanza, diritti e welfare.

Il caso di Sara è però isolato. Eccezionale. E’ – infatti – una delle poche, pochissime storie di abuso sui luoghi di lavoro che guadagnano gli onori della ribalta televisiva, anche per l’aggravante delle percosse e quella politica delle esternazioni della titolare. Situazioni di abuso e sopraffazione nei confronti di lavoratori esposti al ricatto del rinnovo del contratto, di contratti a progetto che di progettualità hanno molto poco e assomigliano invece a rapporti di dipendenza mascherati da prestazioni e consulenze.

Per chiarimenti e testimonianze dirette, rivolgersi direttamente ai quattro milioni di precari che lavorano in Italia, in situazioni spesso di assenza totale di diritti come ferie, malattia, senza la possibilità di accendere mutui e progettare il proprio futuro.

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